Specchio della psiche e della
civiltà
GIUSEPPE
PERRELLA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 03 luglio
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: SAGGIO BREVE/DISCUSSIONE]
(Tredicesima Parte)
26. Perché da Erofilo al Rinascimento si
è scoperto così poco sul cervello. Se noi poniamo la punta di un dito con la parte
sensibile prossima al polpastrello al centro della nostra nuca, sulla linea
mediana, e la spostiamo lentamente verso il basso, sentiremo il dito entrare in
un lieve solco fra due rilievi muscolari; risalendo verso l’alto e muovendo un
poco in su e in giù il dito, premendolo delicatamente contro i capelli,
avvertiremo una piccola sporgenza ossea: abbiamo individuato l’inion o protuberanza
occipitale esterna. A questa sporgenza esterna corrisponde una protuberanza
occipitale interna: nel mezzo, tra le due protuberanze, vi è una piccola
cavità repleta di sangue e formata dalla confluenza dei seni venosi durali,
cioè dei canali venosi scavati nello spessore della dura madre, la
meninge che aderisce all’interno delle ossa craniche; questi seni o canali
venosi costituiscono l’origine della vena giugulare interna. La confluenza
venosa compresa tra le due protuberanze si chiama in anatomia torculare di
Erofilo[1].
Tra il
1487 e il 1489, quando Leonardo studiava la struttura interna della teca cranica,
i medici anatomisti gli spiegarono che il torculare era stato scoperto intorno
al 300 a.C. da Erofilo, il medico greco che aveva istituito l’anatomia come
branca di studio, introducendo il primo lessico specifico della disciplina, e aveva
fondato con Erasistrato la celebre Scuola Medica di Alessandria d’Egitto. I
medici di Milano gli dicono che agli studi di quel periodo risalgono quasi
tutte le conoscenze tramandate sul cranio umano e sugli organi che contiene.
Leonardo vuol capire perché in circa 1800 anni non si sono compiuti veri passi
in avanti, ma non ha elementi per fare deduzioni certe, allora procede a
tentoni.
Saputo
dalla lettura dei testi medici del numero eccezionale di dissezioni compiute da
Erofilo, ne aveva dedotto il motivo del successo, ma non poteva spiegarsi
perché in tanti secoli di epoca ellenistica e romana si fosse scoperto così
poco. Una delle ragioni gli parve essere il disegno, perché non vi può essere
memoria senza conservazione della traccia di ciò che si è visto; come i
cartografi disegnano e trasmettono per la futura memoria di esploratori e
naviganti le forme delle terre così è necessario fissare sulla carta le forme
dell’interno del corpo. Le dodici paia di nervi cranici sono state registrate
enumerandole e indicando il sito in cui emergono alla vista, ma la morfologia
di ciò che si vede al taglio è difficile da rendere con delle descrizioni. I
Greci non avevano tecniche grafiche del tutto distinte dalla pittura e specializzate
per riprodurre con linee e tratti la realtà su supporti di facile utilizzo come
i fogli; non avendo sviluppato metodi di prospettiva per il disegno del corpo non
concepivano sezioni multiple del cranio secondo criteri prospettici in grado di
evidenziare lo sviluppo nello spazio delle irregolari forme tridimensionali di
ossa e meningi che formano i contenitori entro cui si modella il cervello. Lo
stesso poteva dirsi per i Romani nell’epoca ellenistica, ma poi questa ragione
diveniva sempre più debole.
Sicuramente
l’idea di compiere sezioni secondo vari piani è tipica dell’epoca
rinascimentale e origina dai metodi di prospettiva adottati per gli studi
architettonici, ma varie tecniche grafiche erano già sviluppate nell’Alto
Medioevo. Per la storiografia di impronta ottocentesca non vi sono dubbi: la
ragione della stasi delle conoscenze anatomiche è da attribuirsi al divieto
della Chiesa di praticare autopsie. Ma, studiando l’argomento, ci si accorge
che la realtà è molto più complessa.
Come gli
Ebrei, i cristiani concepiscono il rispetto della persona anche dopo la morte e,
credendo nella resurrezione della carne, combattono l’uso dei popoli barbari di
bruciare i cadaveri[2] ma, a differenza di quanto si legge in alcune
trattazioni storiche non redatte da autentici studiosi della storia medievale e
moderna, non vi è una formale legislazione della Chiesa contro l’autopsia; si
tratta soprattutto di un’obiezione di coscienza e di sostanza, non di forma. Tertulliano
e Agostino condannano la violazione del corpo, in quanto “a immagine e somiglianza
di Dio”, anche per la diffusa reificazione pagana delle spoglie mortali. In
precedenza ho detto dell’autopsia condotta da Fra Salimbene da Parma nel 1286, e
di Mondino de’ Liuzzi[3], ho poi ricordato che nel 1299 Papa Bonifacio VIII interviene
contro un raccapricciante costume affermatosi in Terra Santa durante le
crociate: per spedire in patria, alla famiglia, le ossa dei crociati morti, ne
bollivano i cadaveri per separare lo scheletro dai tessuti molli. La
proibizione si riferiva a questa macabra pratica, non certo al fatto che medici,
spesso appartenenti a ordini religiosi, potessero indagare il corpo per studiarlo
a vantaggio di altri pazienti o, anche, per scoprire i rapporti tra carne e
spirito.
È impegnativo
e forse problematico per il Genio vinciano proprio questo stretto rapporto tra
materia medica e materia spirituale, che oggi riesce difficile da capire perché
tra le due, nel corso degli ultimi quattro secoli, si è andata affermando una
separazione sempre più una netta, che tra il XIX e il XX secolo è divenuta spesso
una contrapposizione. Non vi era dunque un divieto assoluto di eseguire
autopsie, ma la loro legittimità era costantemente al vaglio dell’etica
religiosa e professionale, anche perché tra i medici anatomisti prevalevano
ancora frati, sacerdoti ed ecclesiastici di alto rango.
Per avere
un’idea di come era inteso il ricorso all’autopsia, ancora dopo la morte di
Leonardo, ci trasferiamo ai Caraibi per un caso verificatosi nel 1533 in quell’isola
che Cristoforo Colombo aveva denominato la Española, quando vi approdò
il 5 dicembre 1492, e l’aveva resa colonia della Spagna di religione cristiana
e lingua castigliana[4]. Una cronaca redatta da Oviedo y Valdes narra della
nascita di due gemelle siamesi unite ventralmente dal torace all’ombelico: “Il
prete chiamato per il battesimo si trovò in grande perplessità, non riuscendo a
stabilire con certezza se si trovasse di fronte a un corpo con un’anima, due
corpi con un’anima ciascuno, uno con due o che altro; non sapeva se il
sacramento fosse da amministrare una o due volte. Dopo pochi giorni le bambine
morirono e il prete, che aveva finito con l’optare per la soluzione delle due
anime, senza con questo liberare la coscienza dai dubbi che la tormentavano,
dispose che venisse praticata l’autopsia per dirimere la questione. Risultando
esservi due insiemi completi di organi interni, si ritenne che le anime
dovevano con ogni probabilità essere due”[5].
Da notare
il criterio adottato: la presenza di due teste con due cervelli indipendenti
non è ritenuta sufficiente perché, evidentemente, l’anima è considerata
espressione di un insieme.
Un caso
esemplarmente opposto, in quanto non pone al vaglio una questione spirituale,
si verifica nel 1410, ossia quarantadue anni prima della nascita di Leonardo da
Vinci. Il 26 giugno dell’anno precedente, al Concilio di Pisa cui parteciparono
112 vescovi, 22 cardinali, 87 abati, 41 priori e 4 patriarchi, e che era stato
indetto per superare il Grande Scisma d’Occidente con una Chiesa divisa in “obbedienza
romana” e “obbedienza avignonese”, il cardinale Pietro Filargo fu eletto Papa col
nome di Alessandro V[6]. Il nuovo Papa, che avrebbe dovuto riunificare la Chiesa,
era stato frate francescano, aveva studiato alle Università di Oxford e Parigi,
e da quando aveva ottenuto la porpora da Innocenzo VII si era adoperato per il
superamento delle divisioni confessionali. I dieci mesi di pontificato erano
stati intensissimi fino a quando Alessandro V, la notte tra il 3 e il 4 di
maggio del 1410, mentre era a Bologna in compagnia del Cardinale Cossa, morì di
morte improvvisa. Si sospettò un avvelenamento[7]. Proprio come si fa oggi, fu disposta l’autopsia
per accertare le cause della morte: l’esame necroscopico, affidato al medico
bolognese Pietro D’Argelata, non poté evidenziare tracce dei veleni più comuni[8].
Qualche decennio
più tardi “una bolla di Sisto IV concedeva agli studenti di Padova e Bologna il
privilegio di fare esercitazioni sui cadaveri”[9].
È
opportuno evidenziare ciò che distingue l’attività di disegno dal vero, che
molti pittori rinascimentali esercitavano presso ospedali e sale settorie, dal progetto
dell’atlante anatomico di Leonardo. Nel primo caso, lo scopo degli artisti è
trarre il massimo vantaggio possibile dalle esperienze di copia per migliorare
la propria capacità di rappresentare la figura umana in tutti i suoi aspetti;
nel secondo caso ci troviamo di fronte a una persona che vuol studiare l’anatomia
e dare un contributo personale, come ricercatore, al progresso della disciplina
quale parte del sapere medico, e spera di fornire nuovi elementi al razionale
dei discorsi sul rapporto tra anima e corpo, spirito e carne.
Anche
Raffaello, infatti, dedica molto tempo allo studio di soggetti post mortem,
per accrescere la sua competenza tecnica nel disegno del nudo, ma rimane lontano
dalla figura del medico anatomista che scortica e seziona corpi, conservando quell’immagine
di uomo gentile, cortese, garbato e raffinato, che sembra interpretare nello
stile morale e nel portamento la bellezza che crea con la sua pittura. Vasari dice
come la natura “in Raffaello facesse chiaramente risplendere tutte le più rare
virtù dell’animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia ed
ottimi costumi, quanti sarebbero bastati a ricoprire ogni vizio, quantunque brutto,
ed ogni macchia, ancorché grandissima. Laonde si può dire sicuramente che
coloro che sono possessori di tante rare doti, quante si videro in Raffaello da
Urbino, siano non uomini semplicemente, ma, se è così lecito dire, Dei mortali”[10].
E del
divin pittore riferisce come fosse divenuto eccellente nella riproduzione del
nudo: “Datosi dunque allo studiare gl’ignudi
ed a riscontrare i muscoli delle notomie e degli uomini morti e
scorticati con quelli de’ vivi, che per la coperta della pelle non appaiono terminati
nel modo che fanno levata la pelle; e veduto poi in che modo si facciano
carnosi e dolci ne’ luoghi loro, e come nel girare delle vedute si facciano con
grazia certi storcimenti, e parimente gli effetti del gonfiare, e abbassare e
alzare o un membro o tutta la persona, ed oltre ciò l’incatenatura dell’ossa,
de’ nervi e delle vene, si fece eccellente in tutte le parti che in un ottimo
dipintore sono richieste”[11].
Leonardo è
perfettamente consapevole di avere un ruolo pionieristico per il sapere anatomico
e, sebbene cercando i segni dell’anima e dello spirito nel corpo si sia posto i
quesiti che dal tempo della scolastica medievale si imponevano ad ogni impresa
di conoscenza, ossia cosa posso sapere, cosa posso fare e cosa
è lecito sperare[12], sa di non avere rivali nella sua impresa. Ha avuto
ostacoli e ha dovuto far fronte ad obiezioni e riserve, alle quali fornisce una
risposta scritta molto incisiva, che contiene anche le ragioni principali che
hanno limitato per secoli il progresso negli studi anatomici:
“E tu che dici
essere meglio veder fare l’anatomia che vedere tali disegni, diresti bene se
fosse possibile vedere in una sola figura tutte le cose che nei disegni si mostrano;
ma con tutto il tuo ingegno in questa non vedrai e non avrai notizia se non d’alquante
poche vene […]. E un sol corpo non bastava a tanto, che bisognava procedere di
mano in mano con tanti corpi per avere completa cognizione, la qual cosa feci due
volte per vedere le differenze […]. E se tu avrai l’amore a tal cosa, tu sarai
forse impedito dallo stomaco, e se questo non ti impedisce tu sarai forse
impedito dalla paura di abitare in tempi notturni nella compagnia di tali morti
squartati e scorticati e spaventevoli a vedersi; e se questo non t’impedisce forse
ti mancherà il buon disegno, che si addice a tale figurazione; o, se avrai il
disegno, non sarà accompagnato dalla prospettiva; e, se lo sarà, ti mancherà l’ordine
della dimostrazione geometrica, o il calcolo delle forze e della potenza dei
muscoli; o forse ti mancherà la pazienza; così che tu non sarai diligente. Se
tutte queste cose sono state in me o no, i centoventi libri[13] da me composti ne daranno sentenza, nei quali non
sono stato impedito né da avarizia o negligenza ma solo dal tempo. Vale”[14].
Si ricorda,
di passaggio, che già vent’anni dopo la morte dell’autore della Gioconda, per
diventare anatomisti non bastava più essere medici con abilità di pratica
chirurgica, ma era necessario dimostrare di essere ottimi disegnatori dal vero[15]. Il maestro di Vinci aveva lasciato una traccia nella
cultura medica. Nel 1543 Vesalio, nel suo De humani corporis fabrica, presenta
una grafica a stampa studiata dal vero in sala settoria in cui si vede un
cranio scalottato con l’aracnoide incisa e riversa in basso così da scoprire
gli emisferi cerebrali, disegnati nel dettaglio delle circonvoluzioni, costeggiate
dai vasi della pia meninge trasparente[16].
Leonardo
procede come di consueto, ossia studiando manoscritti e codici per sapere quanto
già si conosce prima di compiere le sue osservazioni sperimentali, ma in questo
caso non può impiegare il suo strumento preferito di studio, cioè la copia
mediante disegno, adottata ad esempio per lo studio del Codice delle acque
del suo amico Francesco di Giorgio Martini, perché nel caso del cervello non vi
sono riproduzioni grafiche interessanti, ma solo rese schematiche della testa,
all’interno delle quali gli autori dispongono le funzioni, scrivendo i nomi delle
facoltà psichiche secondo una collocazione nel cervello di pura fantasia. Leonardo
non è più l’omo sanza lettere della gioventù; tuttavia, non vi sono
prove che abbia affrontato direttamente i testi greci, mentre si può dedurre
con certezza la lettura delle traduzioni in latino di originali greci, così
come dei testi di epoca cristiana.
Un fatto sicuro
è che, nonostante l’indiscutibile e riconosciuta importanza del cuore come organo
vitale, per molti medici e per altri autorevoli contemporanei di Leonardo l’anima
è una questione di cervello. Ma non era sempre stato così, anzi le tradizioni delle
civiltà mediorientali più antiche, come l’ebraica e le mesopotamiche,
localizzavano tutto ciò che corrispondeva al concetto greco di psiche nel
cuore, riservando alla “cervice” solo il compito di dirigere l’esecutività volontaria[17]. La visione dei maestri di verità della Grecia
arcaica[18] che, basandosi sull’esperienza personale delle sensazioni
emotive e affettive era assolutamente cardiocentrica, aveva influenzato per
secoli filosofi e poeti, radicando nella concezione della doxa l’associazione
del cuore alla psiche, al punto da costringere Alcmeone, il fautore della
teoria dei contrari, tra il VI e il V secolo a.C., a decapitare degli animali
per dimostrare che è nella testa il controllo del corpo e senza il capo non c’è
vita[19].
Per renderci
conto di cosa fosse presente alla mente di Leonardo quando si accingeva a
studiare il più misterioso degli organi, oggi considerato quanto di più
complesso esista nell’universo, è opportuna una sintetica rassegna dei contenuti
rilevanti dei testi classici a disposizione dello scopritore del chiasma ottico[20].
27. Leonardo studia il cervello
introducendo una nuova tecnica mutuata dalla scultura. Leggiamo due piccoli brani antichi di attualità
per la cultura rinascimentale: “…bisogna considerare che l’anima è un corpo
sottile, diffuso per tutto l’organismo, molto simile al respiro e dotata di una
certa miscela di calore e somigliante sotto qualche aspetto all’uno e sotto
qualche aspetto all’altro. C’è poi una parte che è per sottigliezza assai
differente da entrambi gli elementi e per questo motivo può partecipare con
particolare sintonia a ciò che il resto dell’organismo sente. Di tutto ciò sono
prova le facoltà dell’anima, i sentimenti, i moti, i pensieri e tutto ciò la
cui privazione determina per noi la morte”[21]. E poi: “E bisogna ritenere che anche l’odore, come
la voce, non potrebbe produrre alcuna sensazione, se non vi fosse un complesso
di particelle che, muovendo da ciò che esiste, sono in grado di stimolare l’organo
sensorio: alcune di esse creano turbamento e disgusto, altre non arrecano fastidio
e procurano una sensazione gradevole”[22].
Bastano
queste due citazioni dalla lettera di Epicuro a Erodoto, la prima sull’anima e
la seconda una stupefacente intuizione sulle molecole odorose che stimolano l’organo
dell’olfatto, per rendersi conto di quanto il sapere dei classici potesse
imporsi all’attenzione per qualità e forza suggestiva.
Leonardo
legge di tre possibilità circa la localizzazione dell’anima: diffusa in tutto l’organismo,
secondo il modello di Epicuro, localizzata nel cuore, come sostenuto dai poeti,
e, infine, posta nel cervello, secondo la tesi di vari medici-filosofi.
È probabile
che l’opinione degli antichi poeti al riguardo non fosse tenuta in grande
considerazione: per Omero non è l’encefalo ma è il cuore, fonte di vita, la sede
di intelligenza e sentimenti; e Lucrezio scrive: “È lì, infatti, che sussultano
il terrore e la paura, è lì che la gioia palpita dolcemente”[23]. Al contrario, le autorità filosofiche greche, già
studiate dai Padri della Chiesa, col neoplatonismo dell’Accademia fiorentina erano
diventate il riferimento culturale privilegiato. Su Democrito e la sua teoria
atomica, che ha costituito il fondamento del pensiero scientifico moderno, secondo
l’autorevole analista della filosofia della scienza Ludovico Geymonat, sarebbe stato
straordinario avere qualche traccia di opinione o commento di Leonardo da
Vinci. Le ragioni delle nuove fortune di Democrito sono numerose, non ultimo il
ritorno di attualità, con la scoperta dell’America, del pensiero del padre
della storia geografica, Erodoto, che era suo fratello. La teoria degli
atomi[24], secondo cui tutta la realtà organica e inorganica è
ugualmente costituita da invisibili particelle indivisibili, aveva consentito
di postulare l’esistenza di atomi psichici che, assunta la tesi di Parmenide
secondo il quale “il pensiero e l’essere sono una sola e identica cosa”[25], potevano ritenersi fondamento materiale dell’essere.
Per
Democrito, sensazione e pensiero hanno base materiale in atomi “fini, levigati
e rotondi”[26] e tutta l’esperienza psichica è data dallo
spostamento di questi corpuscoli nello spazio; tali atomi psichici sono
sparsi nel corpo tutto intero. E, dunque, quale ruolo ha il cervello per questo
filosofo? Ecco la risposta: “Il cervello sorveglia come una sentinella l’estremità
superiore, cittadella del corpo, affidata alla sua guardia protettrice […] il
cervello, guardiano del pensiero o dell’intelligenza […] contiene i principali legami
dell’anima”[27].
A Democrito
si attribuiscono due idee di particolare rilievo nella storia delle dottrine
antiche sul cervello: la prima consiste nella distinzione di varie facoltà dell’intelletto
e dell’affetto, la seconda nella loro localizzazione in sedi distinte. Il
pensiero ha sede nel cervello ed è costituito dagli atomi psichici dell’essere,
alla base dello scambio materiale che il cervello stabilisce con gli altri
organi del corpo e il soggetto realizza con il mondo esterno. Non è difficile
leggere in questo costrutto congetturale un antecedente della nozione moderna
di attività del sistema nervoso.
La
medicina ippocratica non contraddice alcuna delle tesi democritee, sicché si ritiene
che le abbia assunte, anche se le sue nozioni sono fondamentalmente dedotte
dalla pratica. A tal proposito, i medici della scuola di Ippocrate di Coo (Kos)
fanno esperienze simili a quelle degli antichi medici egizi[28], ossia, osservando le conseguenze di ferite traumatiche
del cranio, comprendono che danni del cervello possono produrre infermità
motorie, fino alla paralisi, disturbi del linguaggio e una varietà di sintomi, fra
i quali operano una distinzione che sembra precorrere quella attuale fra
neurologia e psichiatria[29]. Si legge: “Se l’encefalo è irritato, l’intelligenza
è disturbata, il cervello è preso da spasmi e sconvolge il corpo tutto intero[30] […] altre volte, l’intelligenza si offusca e il
paziente va e viene, pensando e credendo cose diverse dalla realtà e portando
il segno della malattia in sorrisi canzonatori e visioni strane”[31].
Ma quando
si legge dell’esperienza che avevano dell’encefalo non si può non rimanere
colpiti: “Il cervello è simile a una ghiandola […] bianca, friabile, come
questa”[32].
Platone
assume molte nozioni da Ippocrate e sembra sviluppare alcune tesi presocratiche
sull’anima nel Timeo. Distingue tre nature o parti dell’anima: la razionale,
immortale e sita nella testa, e le altre due, l’irascibile e la concupiscibile,
mortali e unite alla prima per mezzo del midollo spinale[33]. La dottrina platonica definisce la visione “encefalocentrica”,
collocando nel cervello l’anima legata alle proprietà dell’intelletto e
identificata anche col pensiero e con l’essere. Non meraviglia che in epoca
rinascimentale, soprattutto a Firenze dove il neoplatonismo dell’Accademia
fiorentina permeava tutta la cultura, tale concezione fosse quella della
maggior parte dei medici.
Ma la visione
di Platone fu strenuamente avversata dal suo allievo Aristotele che, per la sua
fama di insuperato indagatore della natura, ebbe sempre epigoni nel corso dei
secoli, anche al tempo di Leonardo. Ecco cosa dice Aristotele del cervello: composto
di acqua e terra svolge solo il ruolo di refrigerare l’organismo: abbassa la
temperatura del sangue carico di cibo e induce il sonno[34]. Jean-Pierre Changeux, nel riferire la tesi
aristotelica, più che sorpreso sembra quasi indignato e si chiede: “Perché un’idea
così bizzarra?”[35].
Da collega
della generazione successiva posso rispondergli con i risultati di studi
pubblicati a partire dagli anni Novanta. Indagando in chiave evoluzionistica l’enorme
sviluppo della neocorteccia umana, definito da Haldane il più rapido
cambiamento conosciuto nella filogenesi, Peter Wheeler in Inghilterra, Dan Falk
negli USA e Konrad Fialkowski in Polonia, dimostrarono che la nostra corteccia
cerebrale funge da radiatore in grado di abbassare notevolmente la temperatura del
sangue accresciuta dalla stazione eretta, e avanzarono l’ipotesi che questa
funzione di refrigeratore, che cresce al crescere degli strati di neuroni corticali,
sia stata una forza evoluzionistica trainante per l’accrescimento della
corteccia cerebrale.
Strano ma
vero: Aristotele non si sbagliava sulla funzione di radiatore del cervello,
semplicemente perché l’aveva verificata con osservazioni sperimentali, ma
naturalmente era del tutto fuori strada nel ritenere che fosse la funzione principale
dell’encefalo[36]. A parziale scusante di tutti coloro che nella
storia hanno sottovalutato ciò che Edelman amava definire la “cosa più
complessa dell’universo”, mi piace ricordare che un’idea sia pur pallida di
questo organo si è cominciata ad avere solo con l’inizio delle osservazioni
microscopiche, quando si era ancora lontani dal sapere che l’inestricabile e
spesso indecifrabile interconnessione di reti neuroniche contiene in media almeno 1011 cellule
nervose, ciascuna delle quali forma dalle 1000 alle 10000 sinapsi, per un
totale di 1014 - 1015 giunzioni.
Aristotele,
che da quanto risulta ignorava l’esistenza dei nervi, aveva studiato le
ramificazioni dei vasi sanguigni e la loro convergenza verso il cuore,
ritenendola una prova del collegamento di ogni parte della periferia all’organo
più importante; inoltre, sembra che attribuisse ai vasi le funzioni motoria e sensitiva,
elaborate a suo avviso dal cuore. A sostegno della sua visione “cardiocentrica”
citava gli esperimenti sul cuore messo a nudo, che reagisce agli stimoli meccanici,
a differenza del cervello che non mostra reazioni. Naturalmente si tratta di
esperimenti condotti su animali. Interessante, a questo punto, considerare come
il filosofo di Stagira concepisce le astrazioni mentali: sono prodotto dell’anima,
che non pensa mai senza immagini, come voleva Epicuro, e pone queste immagini a
disposizione dell’intelligenza, altro requisito dell’anima e non facoltà del
cervello[37].
Come si è
già accennato in precedenza, i grandi progressi nella conoscenza dell’anatomia sono
compiuti da Erofilo ed Erasistrato, fondatori della Scuola di Alessandria, con
accurate dissezioni condotte letteralmente su migliaia di persone nel corso di
molti anni. Secondo Celso e Tertulliano, che condannano senza appello Erofilo,
questi oltre allo studio dei cadaveri avrebbe effettuato anche la vivisezione
di condannati. Celso scrive che i due anatomisti sezionavano dei criminali che “i
re facevano uscire di prigione per consegnarglieli, e farglieli esaminare
mentre respiravano ancora”[38]. Erofilo descrive molti organi e apparati, riconosce
l’origine dei nervi dall’encefalo e dal midollo spinale, distingue i nervi dai
tendini e li classifica in nervi di senso e nervi di moto, confuta le congetture
di Aristotele sui vasi sanguigni, descrive e distingue cervello, cervelletto[39] e midollo spinale. Soprattutto, scopre i ventricoli
cerebrali, riconosce che la superficie del cervello si introflette a formare
circonvoluzioni e suppone che queste siano importanti per l’intelligenza perché
osserva che l’uomo di gran lunga più intelligente degli animali ha molte più
circonvoluzioni.
Galeno di
Pergamo, quasi cinque secoli dopo la Scuola di Alessandria, prosegue lo studio
del cervello e distingue le cavità ventricolari dalla sostanza bianca, che
definisce “simile a quella dei nervi”, e così le descrive: una anteriore
divisa in due, che corrisponde ai nostri ventricoli laterali, una mediana,
che corrisponde al nostro III ventricolo, e una posteriore, ossia il
nostro IV ventricolo. Galeno, celebre come fisiologo, studia reazioni e
comportamenti biologici attraverso innumerevoli esperimenti su animali vivi, e
in tal modo dimostra che il cervello svolge un ruolo centrale nella guida del
corpo e che l’attività mentale ha origine nella materia cerebrale. Si tratta di
un colpo mortale per l’ipotesi cardiocentrica di Aristotele; ma gli studi di Galeno
non furono oggetto di insegnamento universale in tutte le scuole mediche e,
quando lo divennero, non ebbero sufficiente diffusione fuori dell’ambito
medico.
Galeno elabora
la nozione di “pneuma psichico” o “organo dell’anima”, che ritiene sia prodotto
e immagazzinato nei ventricoli. Considera questa nozione una vera e propria
scoperta scientifica e scrive al riguardo la celebre frase: “Non andate a
consultare gli dei per scoprire con la divinazione l’anima che dirige, ma
istruitevi presso un anatomista”[40].
Galeno,
riprendendo in parte la concezione platonica, scompone l’anima in base alle facoltà
in motrice, sensibile e raziocinante. L’anima raziocinante, poi, ritiene sia
costituita da ragione, immaginazione e memoria. Interessante sottolineare che,
non disponendo di alcuna prova sperimentale o traccia indicativa al riguardo, non
indica alcuna localizzazione delle facoltà.
I Padri
della Chiesa nel IV e V secolo d.C., prendendo le mosse dagli studi di Galeno,
indicano una localizzazione delle facoltà su base intuitiva; in particolare
Nemesio, arcivescovo di Emesa, e Sant’Agostino collocano l’immaginazione
nel ventricolo anteriore, la ragione in quello mediano e la memoria
in quello posteriore.
Da questi
presupposti culturali, come già indicavo alla fine del paragrafo “23”, prende
le mosse lo studio del cervello di Leonardo da Vinci.
Il Genio ha
la sua prima e principale preoccupazione nella consistenza poco più che
gelatinosa della materia cerebrale e, se solo gli fosse venuto in mente di
sperimentare l’iniezione di uno dei suoi medium per i colori a olio contenenti
vernici, avrebbe consolidato il tessuto nervoso meritandosi anche l’appellativo
di padre dell’istologia moderna, ma questo non accadde. Leonardo, guidato anche
dalla nozione galenica secondo cui una ferita del cervello non provoca danni
alle facoltà se non raggiunge i ventricoli[41], è convinto che si dovrebbe riuscire a conoscere la
morfologia tridimensionale di queste strutture, perché la loro forma potrebbe suggerire
ragioni funzionali.
Nel disegno
di una sezione sagittale di testa d’uomo custodito presso la Royal Library di
Windsor (RL 12603r; K/P 32r), è evidente dalla sezione dei seni frontali che la
riproduzione è stata ricavata da un cranio e che le parti molli erano assenti. Qui
Leonardo traccia appena, senza definire, una successione di tre piccole sferule
comunicanti in continuazione con l’occhio, che dovrebbero rappresentare i
ventricoli cerebrali che, evidentemente, non ha ancora mai visto. Siamo,
infatti, nel 1493. Ora, dopo la grande esperienza delle dissezioni di Santa Maria
Nova (1507-1508), ha un’idea di collocazione e dimensione dei ventricoli
cerebrali umani, ma non ha ancora potuto tentare di riconoscerne struttura e
limiti, perché le pareti erano collabite.
L’idea
geniale può applicarla a un cervello bovino. Come si fa in scultura per
ottenere dei calchi, prepara un’abbondante quantità di cera fusa, che inietta
nelle cavità ventricolari, ottenendo il duplice effetto di distendere in modo
regolare le pareti, conferendo sostegno meccanico alla struttura e, a cera
rappresa, realizzare un perfetto calco tridimensionale delle cavità tra loro
comunicanti. Il risultato si può ammirare nei disegni del foglio (RL 19127r; K/P
104r).
La tecnica può
essere applicata all’uomo, ma intanto Leonardo si è reso conto della differenza
esistente tra prima e dopo l’iniezione di cera fusa: ha compreso che in vivo i
ventricoli non reggerebbero la forma strutturale se contenessero solo aria. L’idea
del corpo aereo dell’anima, o “pneuma”, è messa in crisi, anche se per la
scoperta del fluido cefalo-rachidiano da parte di Emanuel Swedenborg si dovrà
attendere ancora due secoli.
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Fermandomi qui, alla coincidenza del limite cronologico
settimanale con quello della pausa estiva, desidero ringraziare tutti coloro
che mi hanno seguito in questo viaggio nel tempo, prevalentemente svolto nel Rinascimento,
all’epoca di una bellezza che possiamo far rivivere dentro di noi, se lo vogliamo,
invece di rimpiangerla come perduta, che possiamo riscoprire, ritrovare e rinnovare,
soprattutto se abbiamo compreso che la forza del suo fascino è nella speranza
che sa donare a tutti coloro che la cercano.
L’autore della
nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la
correzione della bozza e invita alla
lettura degli scritti di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giuseppe Perrella
BM&L-03 luglio 2021
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La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Per la precisione, nel torculare
di Erofilo confluiscono il seno sagittale superiore, il seno retto,
i seni laterali e i seni occipitali.
[2] Uso riemerso con la cremazione,
che si sta diffondendo parallelamente alla progressiva perdita di sensibilità
cristiana. Non solo accanirsi distruggendo con l’incenerimento la struttura
organica del corpo di un defunto fino a ridurla ai costituenti inorganici
elementari (C, H, O, N e S) tradisce tutto l’insegnamento di Cristo sul corpo “tempio
dello spirito” destinato alla resurrezione, ma si pone in conflitto con duemila
anni di “cristiana sepoltura” in terra consacrata, in prosieguo con la già
plurimillenaria tradizione ebraica. I tentativi di compromesso di CEI e
Vaticano del 2016 sotto la spinta degli interessi di una lobby non possono che
intristire profondamente i credenti. La cremazione non è compatibile con la
fede cristiana: chi dice cose diverse o non ha riflettuto abbastanza o ha
riflettuto male, oppure è in malafede.
[3] A lungo quella di Mondino de’
Liuzzi (1275-1326) è stata considerata la prima autopsia medievale, poi Harry
Bober e altri studiosi hanno trovato documentazioni su tante altre dissezioni.
Nato a Bologna da famiglia di medici e speziali toscani, Mondino fu allievo del
fiorentino Taddeo Alderotti e si laureò a Bologna; la sua pratica settoria fu
la prima documentata e pubblicata in ambito universitario, imitata a
Montpellier e poi in altre università. Guy de Chauliac nel suo trattato Chirurgia
Magna cita Mondino de’ Liuzzi come “Maestro di Anatomia”.
[4] Come è noto, quest’isola caraibica
delle Grandi Antille è oggi detta Hispaniola; il caso riferito si è verificato nel
territorio dei due terzi orientali in cui attualmente sorge la Repubblica
Dominicana.
[5] Harry Bober, Manoscritto Ashmole
399, KOS I (2): 52, marzo 1984. Il caso è stato pubblicato per la prima
volta in una rassegna classica sulla storia dell’autopsia da Lester S. King, American
Journal of Pathology 75 (2): 514-544, 1975.
[6] La divisione nella Chiesa aveva determinato
l’elezione di un Papa e un Antipapa, che erano rispettivamente Gregorio XII e
Benedetto XIII, considerati decaduti dal Concilio di Pisa e sostituiti da
Alessandro V. Ma buona parte dei membri delle due fazioni non riconobbe il Concilio,
e dunque considerò Alessandro V un terzo Papa illegittimo. La Chiesa cattolica
lo ha riconosciuto Papa fino al 1947. Armando Petrucci (v. Treccani) sostiene
la tesi dell’illegittimità.
[7] Qualcuno adombrò l’ipotesi, poi
rivelatasi del tutto infondata, che fosse stato proprio il Cardinale Cossa ad
avvelenarlo. Cossa divenne l’Antipapa Benedetto XIII.
[8] Anche se non si poteva certo eseguire un esame tossicologico in un’epoca
in cui non esisteva ancora la chimica. Nel 1556, Sant’Ignazio di Loyola,
fondatore dei Gesuiti, avvertendo un malore chiese l’olio santo, che il suo
segretario rimandò, attribuendo i sintomi a una colecistopatia di cui soffriva.
Fu trovato morto il mattino successivo; si praticò l’autopsia, che anche in
questo caso non evidenziò segni rilevabili di omicidio.
[9] Harry Bober, Manoscritto Ashmole 399, op. cit., idem. Sisto IV, che 36 anni dopo
recepiva a Roma l’istituzione della festività fiorentina dell’Immacolata Concezione,
è particolarmente ricordato per la canonizzazione di Bonaventura da Bagnoregio,
francescano come lui, e per aver promosso la recita del S. Rosario come
preghiera mariana per eccellenza.
[10] Giorgio Vasari, Le vite dei
più eccellenti pittori, scultori e architettori, p. 525, Rusconi 1966-2002.
[11] Giorgio Vasari, op. cit., 553.
[12] I tre quesiti della scolastica
si attribuiscono ad Agostino di Dacia. Immanuel Kant li adotta come canone
della prima critica nella Critica della Ragion Pura, senza
menzionarne l’origine.
[13] Si riferisce alla ripartizione
per argomenti o capitoli delle sezioni del Trattato concepito come Atlante.
[14] Carlo Pedretti, L’Anatomia
in Leonardo – Arte e Scienza, pp. 114-116, Giunti, Firenze 2000.
[15] La tradizione del buon disegno degli
anatomisti è sopravvissuta nelle principali scuole mediche europee fino al Novecento:
si pensi ai disegni dei due Premi Nobel Camillo Golgi e Ramon y Cajal, per
rimanere al cervello e ai neuroni.
[16]
Cfr. Andreas Vesalius, De humani corporis fabrica – libri septem, 1543. Si ricorda che, durante gli studi
all’Università di Padova, Andreas van Wesel, italianizzò il suo nome in “Vesalio”,
latinizzato nel suo trattato anatomico scritto in latino. L’immagine degli
emisferi cerebrali realizzata da Vesalio ha costituito a lungo un prototipo per
il disegno anatomico ed è riprodotta nelle principali trattazioni di storia
della medicina.
[17] Anche presso i Greci, e per secoli,
sono attribuiti al cuore anche gli apprendimenti automatizzati, cioè quelle forme
di memoria semantica (imparare un poema) o psicomotoria procedurale (suonare
uno strumento) ottenute attraverso innumerevoli ripetizioni che creano un
automatismo compatto e perfetto di esecuzione. Questa convinzione antica ha
lasciato traccia nella lingua inglese che, per dire “imparare a memoria”, usa l’espressione
by heart.
[18] Cfr. Marcel Detienne, I
maestri di verità nella Grecia arcaica. Editori Laterza, Roma 2008.
[19] Studi recenti hanno rivisto la
fama di “padre dell’anatomia, della fisiologia e della psicologia” attribuita
ad Alcmeone, correttamente indicato come primo filosofo naturalista (Strata 2014),
e hanno ridimensionato il suo contributo, che Robert Doty nel 2007 aveva paragonato
alle scoperte di Copernico e Darwin. Dati in contrasto con questa enfatica e poco
documentata celebrazione del filosofo di Crotone emergono in Aristotele,
Diogene Laerzio, Teofrasto e Galeno. Erroneo il suo preteso ruolo di precursore
in campo medico: i principi della salute come isonomia, ossia equilibrio
fra elementi, compaiono in un trattato del V secolo come patrimonio della
medicina ippocratica; d’altra parte, Alcmeone considerava, ad esempio, una persona
affetta da raffreddore con rinorrea acquosa come “troppo umida” e indicava che
fosse privata di liquidi, di fatto disidratandola.
[20] Ho seguito le indicazioni sui
classici insegnati nel Rinascimento e letti dalla cerchia di Leonardo a Firenze,
oltre che i numerosi spunti presenti nell’opera di Carlo Pedretti. Per le
sintesi concettuali ho fatto riferimento a Henry Hécaen e G. Lanteri-Laura (1977);
E. Clarke e C. O’Malley (1968); E. Clarke e K. Dewhurst (1975); A. Luria (1978).
Ho consultato il “classico dei classici” sull’argomento: J. Soury (1899). Infine,
ho impiegato la versione italiana delle citazioni, così come compaiono in Jean-Pierre
Changeux, L’uomo neuronale. Feltrinelli, Milano 1998.
[21] Epicuro, Lettera a Erodoto,
p. 33, in Lettera sulla felicità, Rizzoli – RCS Libri, Milano 2005.
[22] Epicuro, Lettera a Erodoto,
op. cit., p. 30.
[23] Cit. in Jean-Pierre Changeux, op.
cit., p. 14.
[24] Era stata concepita da Leucippo
e poi sviluppata dall’allievo Democrito. Aristotele li accomuna nella Metafisica:
“Leucippo e il suo discepolo Democrito pongono come elementi il pieno e
il vuoto, chiamando l’uno essere e l’altro non essere”.
Democrito è considerato nei testi scolastici un presocratico; in realtà nacque dopo
Socrate e morì quasi centenario.
[25] Jean-Pierre Changeux, op. cit.,
p. 15.
[26] Jean-Pierre Changeux, op. cit., idem.
[27] Mio il corsivo, traduzione da Jean-Pierre
Changeux, op. cit., idem.
[28] Che noi conosciamo grazie al papiro di Edwin Smith ritrovato nei pressi
del Tempio di Luxor, tradotto e pubblicato da James Breasted nel 1930. Si
tratta della trascrizione avvenuta nel XVII secolo a.C. di un trattato molto
più antico di prevalente argomento neurochirurgico, nel quale compare la prima
traccia finora nota della parola “cervello”, resa con un pittogramma
geroglifico che compare ben sei volte nel papiro sul totale di otto in tutti i
papiri conservati. Col pittogramma geroglifico del cervello e con i contenuti
del papiro di Edwin Smith sono solito introdurre la lezione di storia delle
neuroscienze.
[29] Sulla medicina ippocratica si
consiglia Vincenzo Di Benedetto, Il medico e la malattia, Einaudi,
Torino 1986. Di Benedetto, che è stato docente di Filologia Greca presso la
Scuola Normale Superiore di Pisa e ordinario di Letteratura Greca presso l’Università
di Pisa, con le sue accurate indagini ha reso per la prima volta il senso
autentico del lessico ippocratico e della sua evoluzione nel tempo.
[30] Molti vi hanno riconosciuto una
crisi epilettica, ma in altri scritti ippocratici la crisi di grande male epilettico
è compiutamente descritta in tutte le sue fasi.
[31] Jean-Pierre Changeux, op. cit.,
pp. 15-16.
[32] Jean-Pierre Changeux, op. cit., p.
16.
[33] Ricordiamo che nella Grecia
arcaica, quella dei Maestri di Verità, il midollo spinale aveva
lo stesso nome del tempo primordiale, Aion, usato anche per indicare Zeus
fanciullo che gioca a dadi. Il motivo era la credenza che nel midollo spinale
fosse fissata la durata della vita di ciascuno (cfr. Giorgio Agamben, Infanzia
e Storia, Einaudi, Torino 1979).
[34] Cfr. Jean-Pierre Changeux, op.
cit., p. 16.
[35] Jean-Pierre Changeux, op. cit., idem.
[36] A chi non è capitato di essere
aristotelico almeno una volta nella vita, e pensare che quel particolare “impasto
di acqua terra” presente nella testa di un nostro interlocutore servisse a poco
altro che a disperdere calore?
[37] Cfr. Jean-Pierre Changeux, op.
cit., p. 16.
[38] Jean-Pierre Changeux, op. cit., p.
17.
[39] La descrizione del cervelletto
cadde in oblio e l’organo fu poi riscoperto in epoca moderna.
[40] Jean-Pierre Changeux, op. cit., p.
18.
[41]
E in realtà
appariva così semplicemente perché negli animali le ferite che raggiungevano i
ventricoli erano le più profonde.